Yukinojō, un attore di teatro Kabuki, vuole uccidere per vendetta i tre uomini che hanno causato la morte dei suoi genitori quando lui era solo un bambino. Per farlo, si avvicina alla figlia di uno di loro.
“Come spettatore di film giapponesi, se mi chiedessero quali sono le opere di un regista che ho visto di più, risponderei senza esitazione che sono le opere di Ichikawa Kon”.
– Yukio Mishima, prefazione al volume 271 Sejio-cho (saggi e memorie di cinema, scritto da Kon Ichikawa insieme alla moglie e sceneggiatrice Natto Wada).
Scrisse ancora Mishima: “Sono sempre interessato al suo lavoro e ogni volta che esce un suo nuovo film mi assicuro di vederlo”. E certamente un’opera come An Actor’s Revenge ci induce a riconsiderare la figura di Ichikawa, un maestro troppo spesso trascurato, sospeso tra classicismo e contemporaneità. Il film non è solo mero e strabiliante esercizio tecnicistico (“mi sono divertito molto”, disse il regista) ma un manifesto estetico di cui oggi appare chiara la potenza avanguardistica e lo stile tanto ricco quanto disciplinato.
Formatosi come disegnatore e animatore, innamorato di Walt Disney e Silly Simphonies al punto di dichiarare, in un’intervista a Donald Richie, “sono ancora un cartoonist”, Ichikawa ha attraversato in 60 anni una varietà generi e stili: opere ispirate al teatro tradizionale, drammi asciutti e scabri, adattamenti letterari (Tanizaki, Sōseki, lo stesso Mishima), fantasie sperimentali, documentari. Attraverso l’eclettismo è possibile però rinvenire il fil rouge di una incessante ricerca, di un’ossessione al contempo artigianale e sperimentale. Il lavoro di Ichikawa nasce all’insegna della contaminazione – tra realismo e teatralità, impegno e astrazione ludica, suggestioni occidentali e integrità nazionale. Come Kinoshita, di cui ammirava profondamente La ballata di Narayama, Ichikawa è “pieno di cinema”, posseduto da un entusiastico ribollire di idee che lo consuma. L’impeto creativo del regista si estende a ricerche sul sonoro, in cui dimostra una visione ardita e innovativa non dissimile da quella di Hitchcock: molto attento al realismo degli effetti sonori, li utilizza in senso ritmico, in combinazione col montaggio.
La presenza della moglie e sceneggiatrice Natto Wada, con cui stringe un lungo e fruttuoso sodalizio, è fondamentale nel disciplinare le energie in una “forma” artistica e nella gestione dei progetti più disparati. Natto presiede anche alla sceneggiatura di An Actor’s Revenge, che solo parzialmente ripropone i dialoghi originali della versione del 1935 di Teinosuke Kinugasa. Il film, realizzato nel 1963, è una delle numerose versioni del romanzo di Otokichi Mikami. Oltre alla citata versione di Kinugasa, di cui Ichikawa propone un dichiarato remake, ricordiamo (tra le altre) la versione del 1957 di Kunio Watanabe e quella del 1959 di Masahiro Makino.
Si tratta del trecentesimo film per Kazuo Hasegawa, star di punta della Daiei, già interprete del film del 1935. Nella versione del 1963 il divo riprende due ruoli (invece di tre): quello dell’attore Yukinojō e del ladro gentiluomo Yamitarō.
Guardando il film si ha l’impressione che solo la fruizione contemporanea possa rendere giustizia all’istinto innovatore di Ichikawa, desideroso di condurre la tradizione classica attraverso forme nuove, oltre le velleitarie rivoluzioni del filone della tayōzoku-eiga (la “tribù del sole”). Attingendo al teatro Kabuki, ma anche alle sperimentazioni di Kinoshita in Narayama, Ichikawa trasfigura il passato affidandosi a una stilizzazione estrema e a un’estetica del falso in cui predomina il segno grafico, il cromatismo, la composizione e la ricostruzione. L’autodefinizione di “cartoonist” esplicita in modo ironico la radice rigorosamente formalista dell’ispirazione del regista, la sua tensione verso un grafismo sperimentale dai colori accesi.
Intenso e perturbante, An Actor’s revenge trasporta il teatro tradizionale sullo schermo panoramico e lo trasforma in un’esperienza cinematografica totale. Con una padronanza spaziale che ha pochi eguali, il regista produce un’immagine “infinita” tanto orizzontalmente che in profondità: la macchina da presa abolisce i confini del palcoscenico e ne moltiplica la magia immaginaria.
Perseguendo una visione radicalmente antinaturalista, Ichikawa annulla ogni principio di imitazione per ricreare un universo astratto e simbolico. I corpi talora emergono dal buio di neri fondali; la luce è usata in forme espressive, grafiche (come segno luminoso) o emotive. Le ombre evocano suggestivi mostri e fantasmi. Il movimento è gesto, danza, coreografia emotiva o sentimentale.
Privati di coordinate riconoscibili, i personaggi si smarriscono nei “vuoti” degli esterni o trovano momentaneo appiglio negli interni, collocati tra le linee create dalle porte scorrevoli, dagli architravi e dai tatami. Contemporaneamente, all’ambiguità spaziale si somma un inconoscibile temporale: la colonna sonora fonde sonorità tipiche del kabuki con inaspettate improvvisazioni jazz.
Altrettanto eccezionale è il lavoro che il regista compie sul volto umano, un paesaggio su cui si posano le ombre, i disegni e i colori della maschera. Su questi volti scorrono i sentimenti, stilizzati dalla luce. Questa attenzione estetica dimostra ulteriormente quanto Ichikawa sia devoto all’archetipo, alla sua presenza distintiva e segnica, pur indicandone il superamento.
Ma il film è memorabile soprattutto per la performance di Hasegawa, divo di imperscrutabile carisma, affascinante nel ruolo di Yukinojō, un onnagata la cui grazia, le movenze e il mistero trascendono qualsiasi distinzione tra i sessi e seducono indistintamente uomini e donne. Le scene in cui Yukinojō danza sul pacoscenico, sotto la neve o in una pioggia di petali d’oro, sono di una bellezza indicibile. Hasegawa viene liberato all’interno dell’inquadratura; il suo corpo si muove leggero come i tratti di un dipinto ukiyo-e. Ichikawa ama il teatro kabuki, ne esalta i colori, la delicatezza delle coreografie; risolve i cambi di scena nella magia delle transizioni e ci dà accesso diretto ai pensieri di Yukinojō.
An Actor’s Revenge racchiude una varietà di generi in sequenza: il thriller, lo chambara, la storia di fantasmi, il melodramma. La storia del cinema giapponese passa davanti ai nostri occhi come un sogno e svanisce come Yukinojō, tra spighe al vento, in un’immagine di profondissima nostalgia per un passato trascorso e sostituito da un nuovo sentire più cinico e spregiudicato.
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