Non capita spesso di vedere, nel cinema giapponese, un film girato quasi interamente macchina a mano. Eppure la regia di Matsunaga non ha nulla dell’estetica, ormai obsoleta e codificata, del cinema “indie”, bensì persegue una propria intima leggerezza. È difficile afferrare i sentimenti umani, così vivi e imprendibili: Matsunaga sceglie di assecondarli, accogliendoli nella loro immediatezza senza lasciarci certezze: né sulla natura dell’amore, né di carattere etico. Tutto è lasciato al nostro sguardo di spettatori, mentre le emozioni e il sesso (puro e realistico) scorrono sullo schermo nella loro essenza più vera e priva di sovrastrutture.
Kōsuke cerca, nel rapporto col bellissimo Ryūta, di guarire i traumi dell’infanzia. Il sentimento lo invade e lo trasforma; il desiderio si fa “egoista” e totalizzante, la ricerca di una “casa” spirituale si mescola all’impulso carnale. Kōsuke è splendido e umano, e il film ci lascia una traccia della fragilità del vivere: i dolori sono intensi, così come la bellezza; tutto scorre – illuminato nell’amore.


























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