CARMEN FALLS IN LOVE (Karumen junjō su, 1952), Keisuke Kinoshita

Carmen lavora come ballerina di striptease a Tokyo, in una versione varieté della Carmen di Georges Bizet, mentre la sua amica Akemi è stata lasciata con una neonata dal suo amante infedele, un attivista di sinistra. Per risparmiare alla bambina un’esistenza precaria, Carmen e Akemi la lasciano sulla soglia della ricca famiglia Sudō, ma poco dopo tornano pentite per riprendersela. Carmen si innamora di Hajime, il figlio artista dei Sudō e noto donnaiolo, accettando ingenuamente la sua offerta di posare per lui.

Accanto al sensibile umanista, vi è un Kinoshita sperimentale e non-conforme, precursore di straordinari formalismi, il cui sguardo totale sul Paese, tra arte, sociologia e storia, è vivificato da un’intraprendenza estetica e linguistica irrefrenabile. Apertamente pacifista, ma anche ‘femminista’ per la fiducia riposta nell’istintività femminile, Carmen falls in love (1952) viene realizzato dal regista dopo Carmen comes home (1950), primo film a colori del Giappone, in cui Hideko Takamine danzava svestita tra verdi colline, mucche al pascolo e contadini stupefatti. Il regista torna al bianco e nero in questo sequel tutt’altro che realista, girato quasi completamente con “dutch angles”, ovvero inquadrature inclinate (tipiche dell’espressionismo) e dai toni satirici pungenti, privi della dolcezza del suo antecedente.

Carmen, attrice di varietà ispirati a Bizet, viene maltrattata sia fisicamente che psicologicamente; la povertà incattivisce la società, le classi sociali sono rigorosamente divise (si veda la casa della ricca e viziata famiglia Sudō) e soprattutto aleggia ancora la presenza della bomba atomica: oggetto di numerose battute di dialogo, temuta, evocata, protagonista di incubi e ossessioni. Kinoshita ama la sua pura, ingenua Carmen, schernita da tutti per la sua candida semplicità, soprattutto dal velleitario artista di cui si innamora. La nostra eroina canta “per non pensare alla sofferenza”, mentre intorno si agita un mondo che comprende narcisisti patologici, nostalgici del riarmo, violenti. Kinoshita allestisce scenografie surrealiste assai francesi, scrive rapidissimi e allusivi dialoghi screwball e infonde un profondo senso di disagio con una colonna sonora che alla musica sostituisce il rumore delle bombe. L’opera di un genio assoluto.

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