AOI SANMYAKU (Blue Montains, 1949), Tadashi Imai

Il dopoguerra attraverso gli occhi di una molteplicità di personaggi: la giovane studentessa Shinko che frequenta amicizie maschili, l’insegnante progressista Yukiko, il corpo docente conservatore, il dottore del villaggio e una geisha saggia e impertinente.

Nel 1949, anno di Tarda Primavera, Setsuko Hara è anche la protagonista di uno dei più grandi successi popolari del cinema giapponese, Aoi Sanmyaku, tratto dal romanzo omonimo di  Yōjirō Ishizaka e diviso in due parti, uscite a distanza di una settimana.
Si tratta di un film all’apparenza semplice, ma che in realtà contiene tutte le vive contraddizioni del dopoguerra, riprodotte nel microcosmo di una piccola comunità alla scoperta della libertà. Lo “scandalo al sole” è provocato da Shinko e Rokusuke, due giovani studenti che si frequentano apertamente, sconvolgendo le rigide regole sociali. Ad interpretarli, Yoko Sugi (con una prorompente fisicità in cui si dimostra a proprio agio) e un Ryō Ikebe che anticipa la sensibilità di James Dean. A Setsuko Hara è invece affidato il ruolo di Yukiko, insegnante dagli ideali progressisti inizialmente osteggiata dalle studentesse (così come avveniva in Nobuko, 1940, di Hiroshi Shimizu).
Dialoghi sorprendenti, corse sulla spiaggia e in bicicletta, momenti “screwball” di battaglia tra i sessi (tra l’idealista Yukiko e il dottore del paese, conservatore per abitudine) caratterizzano quest’opera molto amata da Kurosawa, strutturata in forma di racconto corale, quasi un “canto” affettuoso per gli strati sociali più umili e veri. L’utilizzo del celebre brano Le montagne blu esalta le virtù e i sentimenti della gente comune all’indomani della sconfitta: Addio alle vecchie giacche/Addio ai sogni solitari/Alle nuvole rosa della catena montuosa azzurra/Gli uccelli cantano come ragazze in viaggio, piene di desideri...

Si prova tenerezza per questo Giappone che ragiona dialetticamente sul cambiamento: il film è ricco di scontri verbali, idee in opposizione, così come di immagini a contrasto, ad esempio i kimono delle geishe e gli abiti occidentali di Yukiko, o la diversità della vivace Shinko nel contesto di una classe remissiva e immobilista.
Imai invita al confronto e al colloquio d’amore tra tradizione e rinnovamento, guardando con gentilezza ai suoi personaggi più giovani, messi a dura prova da un mondo in trasformazione. Nonostante il regista si serva di tutto il parere persuasivo della parola per indurre il suo pubblico alla riflessione, i momenti migliori del film sono quelli silenziosi: ad esempio, in una scena di assoluta naturalezza, in cui il futuro è già in atto, scorgiamo Shinko nel dormitorio maschile. I ragazzi si lavano e si cambiano dopo la partita di tennis, alla quale ella stessa ha partecipato. La sua presenza è invisibile e pulita, l’indizio di una rapporto di amicizia non turbato da pregiudizi sessuali.

Se Setsuko Hara/Yukiko, dalla bellezza divistica in tailleur maschili, è una messaggera del nuovo, la geisha Umetaro (una finissima Michiyo Kogure) è invece l’immagine di un passato che si riflette su di sé senza vizi nostalgici. Umetaro ha sufficiente esperienza alle spalle per guardare al presente con penetrante lucidità e sottile ironia. Sa conquistare amabilmente con i suoi modi, sedurre, persuadere con parole tanto soavi quanto scaltre. Il suo intervento alla riunione dei dirigenti scolastici è decisivo: per via del suo mestiere, Umetaro conosce i segreti della comunità e ne smaschera le ipocrisie, aprendo la strada al cambiamento; il tutto con una commovente consapevolezza del proprio status. A differenza di Yukiko, Umetaro guarda a se stessa senza idealismi, ma allo stesso tempo possiede uno spirito pratico che ne fa, forse, l’immagine più vera del Giappone del tempo. Appartenente a un’epoca trascorsa, è una figura femminile più indipendente della bella professoressa, che dietro il piglio sicuro e modernista piange calde lacrime e cerca il supporto maschile.
In un certo senso, Aoi Sanmyaku diventa il film di Umetaro, saggia e dolente, d’una bellezza sul punto di trascolorare. La sua presenza contrasta con la radiosità di Yukiko, che a un certo punto viene descritta dal dottore come “atomica” (una battuta che sorprende, e che probabilmente avrà lenito le coscienze degli occupanti americani).

Imai intesse questa storia collettiva moltiplicando i punti di vista e regalandoci sequenze meravigliose, come la corsa in bicicletta, le fresche e libere vedute sulla spiaggia o le scene della comunità chiocciante e in subbuglio. Tra tutte, resta impressa la stupenda sequenza del bagno al mare di Shinko e Rokusuke: l’amore giovane, il desiderio sotto il sole estivo, il brivido dei corpi che Imai inquadra da diverse prospettive. Un momento di grandissimo cinema, sensuale e sensoriale, che sembra quasi anticipare il bergmaniano Monica e il desiderio (1953).

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Nubi Fluttuanti è un progetto di Marcella Leonardi dedicato al cinema giapponese classico e contemporaneo.
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