THE LONELY 19:00 (Kinkyū jitai senge #2: Kodoku na jūkyūji, 2020), Sion Sono

Sopravvissuto al “virus del cent’anni”, Otomi vive da solo e non esce mai di casa, neanche durante il giorno “di uscita” istituito dal governo. Ma un giorno, un suono mai sentito prima lo spinge a lasciare le mura familiari e a sperimentare l’ignoto del vivere.

Voglio che la gente guardi The Lonely 19:00 stando seduta a casa, e poi esca” (Sono Sion, intervista a Banger, settembre 2020).

Realizzato nel 2020, The Lonely 19:00 rinnova la sua meraviglia anno dopo anno, staccandosi dalla sua contingenza (fu girato durante la pandemia) e ponendosi tra le più belle e profonde riflessioni estetico/filosofiche degli ultimi anni. Si resta ammaliati e turbati da un’opera che in 36 minuti attraversa l’essenza della vita umana, ciò che la lega alla terra e all’eternità: il ricordo, la nostalgia, i legami familiari, l’appartenenza a una Storia; ma anche la solitudine, la paura, l’anelito a qualcosa che non sia mera sopravvivenza.
Il film è un magnifico racconto di formazione, un viaggio spazio/temporale dalla prigione di una camera alla libertà del mondo, con i pericoli – e i sentimenti – che questo comporta. La condizione di erranza e incertezza vissuta dal protagonista è propria di gran parte dell’opera di Sono, poeta diviso tra commozione e crudeltà.

Abituato a vivere da solo sin da piccolo, Otomi può circondarsi solo di una “memoria” di umanità: le fotografie alle pareti, i video familiari, gli oggetti di un passato trascorso, unici segni costitutivi di un illusorio “perimetro di affetti”. Forte di un pensiero razionale, il giovane cerca di ovattare le esperienze più brutali – la perdita, la mancanza di un futuro – sottoponendosi a una serie di riti quotidiani che diventano atti anestetici e di conforto. Un autoscatto è un gesto di affermazione del sé, una prova di esistenza; mangiare, dormire, tratteggiare una serie di x sulla parete sono i punti di riferimento di un “tempo senza tempo”.

Tra ellissi, primi piani, camere fisse, lentissimi movimenti, Sono filma una vita ripiegata in una stasi impietosa. Il suono dell’orologio è l’unica presenza (che il ragazzo identifica in un “fantasma paterno”), ma l’incontro col mondo esterno imprimerà a questa assenza di futuro una spinta senza ritorno. La scoperta dell’altro spalanca le porte percettive di Otomi, travolto da una sensualità sconosciuta (che Sono affida al sonoro, a voci sussuranti e al suono umido dei baci). Dopo aver sperimentato il caldo mistero del mondo “fuori”, i riti perdono di significato e la stanza solitaria diviene lo spazio angoscioso dell’attesa. Il giovane ascolta il battito accelerato del proprio cuore e scopre, come in un sonetto shakespeariano, che “tutti i giorni sono notti a vedersi, finché non vedo te” [Sonetto 43]. Le immagini confluiscono in una sola immagine, il volto femminile; mentre il desiderio del corpo eleva lo spirito nella luce, che circonda Otomi in un bianco abbagliante.

Con una povertà di mezzi che definirei “bella, gentile e vera”, il film ripercorre tutti i generi – dall’horror, alla commedia, al melodramma, all’angoscia della fantascienza distopica – per giungere al proprio nucleo: “l’amor che move il sole e le altre stelle”, origine e ragione di vita. Allo spettatore viene offerta un’esperienza totalizzante e, come spesso accade con i film di Sono, si ha l’impressione di assistere a un mistero fuggevole, tanto più nitido quanto spirituale. Tra nostalgia in bianco e nero e vita a colori, The Lonely 19:00 si chiude in una circolarità di morte e speranza, rinascita dei nostri poveri resti umani nella divinità dell’amore.

[il film è visionabile su YouTube]

Una replica a “THE LONELY 19:00 (Kinkyū jitai senge #2: Kodoku na jūkyūji, 2020), Sion Sono”

  1. Avatar I AM KEIKO (Keiko desu kedo, 1997), Sion Sono – Nubi Fluttuanti

    […] di un orologio quale inesorabile metronomo del vivere (un elemento che troveremo anche in The Lonely 19:00). Keiko enumera secondi e minuti in una costante, ritmica cantilena, enunciando lo spazio […]

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