La giovane attrice Noel viene aggredita sessualmente. Alla ricerca di un conforto, si reca al “Blue Imagine”, un rifugio per donne vittime di violenza. Con l’aiuto di altre ragazze residenti, Noel riesce a riconquistare parte della sua fiducia e decide di affrontare il suo aggressore.
Negli ultimi anni l’industria cinematografica giapponese è stata oggetto di scrutinio alla luce di una serie di casi di violenza sessuale. Ne è emersa una vera e propria “cultura dello stupro” ai danni di giovani attrici, secondo modalità già note in occidente (con la conseguente esplosione del movimento sociale me too, di portata internazionale).
La giovane attrice Urara Matsubayashi, a sua volta vittima di aggressione, debutta alla regia con Blue Imagine per raccontare, attraverso la mediazione della finzione cinematografica, una dolorosa esperienza personale e collettiva. Il suo stile, misurato e privo di eccessi emotivi, lascia emergere una riflessione delicata ma potente, forte di una incrollabile fiducia nella solidarietà femminile.
Blue Imagine contiene tutta la freschezza di un idealismo non macchiato da tensioni pessimistiche. Il film accoglie al suo interno le aporie di una società corrotta e indifferente, incapace di proteggere le vittime (in particolare le più giovani e vulnerabili); ma le protagoniste trovano conforto nel rapporto che le lega, un confronto che diviene una “seduta psicanalitica” mediante la quale formare un inconscio collettivo. I dialoghi hanno qualità ipnotica: mentre le ragazze si rivelano, verbalizzando l’evento traumatico, è come se il tempo si fermasse. Il flusso di coscienza le sradica dalla solitudine della propria psiche sofferente per immetterle in una nuova relazione con l’altro – simile a sé – di natura liberatoria. Blue Imagine (che è il nome del centro antiviolenza) diviene allora il rifugio in cui la parola si fa corporea illustrazione, immagine in cui la sofferenza possa esprimersi e dissolversi in un nuovo colore.
Nei panni di Noel, Mayu Yamaguchi mette in risalto la sua lotta interiore con un’interpretazione delicata in cui affiorano smarrimenti e zone d’ombra. Dapprima inquadrata in interni grigi e chiaroscurali, la ragazza ci appare sempre più luminosa grazie alla fotografia di Isao Ishii, che la conduce dalla desolazione del buio alla vibrante luce azzurra della spiaggia. C’è molta bellezza spontanea nelle scene, semplici e lineari, che vedono le protagoniste ritrovare la serenità nei gesti quotidiani, sedute allo stesso tavolo o nell’intimità di una camera.
Alcune scelte didascaliche, probabilmente frutto dell’inesperienza della regista e del suo desiderio di rendere il racconto accessibile al grande pubblico, rischiano a tratti di indebolire la grazia sincera del film. Ma Matsubayashi possiede un istinto naturale che le consente di cogliere volti e corpi lasciandoli liberi nell’inquadratura, privi di tensioni: una qualità rara, che restituisce dignità e indipendenza alle sue protagoniste. In una società predatoria, l’antidoto artistico di Urara Matsubayashi è la sua inquadratura gentile, priva di sofisticazioni, spazio di dialogo e laboratorio di un futuro possibile.
Blue Imagine ha vinto il Japan Cuts Award 2024 – Special Mention .




























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