Tarda Primavera è tra le cose più vicine alla perfezione che si siano mai viste in tutta la storia del cinema. La sceneggiatura, scritta con Kōgo Noda e basata sul racconto breve Padre e Figlia di Katzuo Hirotsu, ha valore archetipico: Ozu ne deriverà una serie di forme, variazioni, versioni nel suo cinema successivo, fino a creare i “remake” Tardo Autunno e Il gusto del sakè. Il legame tra figlia e genitore, la chiusura di un ciclo esistenziale, l’abbandono delle sicurezze del presente e l’apertura, tra paure e sofferenza, al movimento delle cose che verranno: sono temi cardine della poetica di Ozu, qui incarnati dai suoi interpreti ideali, colti nel momento di massimo splendore. Si potrebbero scrivere infinite pagine sulla bellezza quasi irreale di Setsuko Hara, allo stesso tempo carnale e pudica, adulta ma con una delicatezza giovanile che intenerisce, e dallo sguardo obliquo e penetrante come certi volti della pittura giapponese. Hara ha il sorriso più bello della storia del cinema e in ogni inquadratura esprime pura emozione; il dolore o la gioia che trapelano sono tanto composti quanto brucianti. La sua interpretazione contiene quella misura tra sentimenti contrastanti che il suo corpo armonizza e trattiene, risultando in un equilibrio mirabile. Tutto ciò senza nulla perdere in modernità: il personaggio di Noriko è figlio del proprio tempo, con una vocazione alla libertà e alla messa in discussione dei valori della tradizione che si scontrano con l’amore spontaneo e primigenio nei confronti del padre.
Chishū Ryū possiede, a sua volta, un luminoso carisma. Nei panni di Somiya, padre di Noriko, è una presenza autorevole e discreta, ma allo stesso tempo in grado di esprimere un amore profondo e privo di egoismo. Ryū è un attore straordinario e segue alla lettera i precetti di Ozu: Somiya affiora in tutta la sua complessità solo attraverso gesti minimi, quotidiani e calibratissime espressioni del volto. Il rapporto tra Noriko e Somiya ci viene mostrato nel suo felice equilibrio, fatto di una limpida comprensione reciproca, di abitudini coltivate con affetto, di un amore che ogni giorno rinnova il suo ciclo in un flusso potenzialmente senza fine. Ma Noriko è in età da marito: la pressione sociale è forte, il rifiuto della ragazza nei confronti degli obblighi imposti dall’esterno è intenso; soprattutto, il pensiero che il proprio padre possa risposarsi genera gelosia e sofferenza. Tarda Primavera fotografa esattamente questo passaggio: il dolore che deriva dalla rottura di un equilibrio e la successiva, serena accettazione. Si tratta dunque, in un certo senso, di un doppio “racconto di formazione” o, come meglio esprime la locuzione inglese, un “coming of age”: per Noriko il distacco e il passaggio all’età adulta; per Somiya l’inevitabile approdo alla vecchiaia, con la solitudine che questa implica.
I sentimenti rappresentati sono degli universali eterni: è un film in cui ritrovare se stessi. E si beve molto sake all’insegna dell’idea che la felicità non sia un’astratta e improvvisa benedizione ma qualcosa da creare personalmente, con pazienza e impegno quotidiano.
Tarda Primavera raggiunge la perfezione narrativa attraverso la perfezione formale: scene di assoluto nitore, geometrie, studio di forme, volti e corpi, di pieni e di vuoti. Il film è più simile alla libertà della poesia che all’obbedienza della prosa: Ozu, come di consueto, si serve di numerose ellissi, talora capaci di sconcertare lo spettatore occidentale; non vediamo mai infatti né Satake, l’uomo che la ragazza acconsente di sposare, né la cerimonia nuziale. Tali omissioni indicano come a Ozu non interessi la banalità di una eventuale sostanza romantica: l’argomento del film sono i sentimenti di Noriko e Somiya, il loro stato d’animo, il passaggio spirituale a un nuovo stato delle cose.
[Il film è disponibile su RaiPlay]



























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