Assunta come insegnante in un collegio femminile, Nobuko viene presa di mira dalla studentessa Eiko. Quando Nobuko decide di disciplinarla, si imbatte in un problema: Eiko è la figlia di un uomo importante che fa donazioni consistenti alla scuola, quindi gli altri insegnanti non osano affrontare la ragazza.
Realizzato nel 1940 da Hiroshi Shimizu, Nobuko è un emozionante “film di donne” in cui è possibile ritrovare i segni del suo stile distintivo, ammirato da Ozu e Mizoguchi: i bellissimi carrelli laterali, che rendono l’inquadratura virtualmente “infinita” in senso orizzontale; l’attenzione alla psicologia dei personaggi più che agli eventi, frammentari e ordinari; la naturalezza libera e ariosa delle riprese in esterni e l’accurata composizione geometrica degli interni. Coadiuvato da Yūharu Atsuta, storico collaboratore di Ozu, Shimizu mette in scena con sguardo profondamente umanista la vicenda di Nobuko, giovane insegnante di campagna determinata a “trovare il proprio posto” in un collegio femminile di Tokyo. Inizialmente schernita dalle ragazze per il suo accento rurale, Nobuko si fa amare per la fermezza di ideali, la schiettezza emotiva e per quell’istintività spontanea e “maschile” che la porta addirittura ad affrontare un ladro in un corpo a corpo, filmato da Shimizu con gusto evidente per la gag fisica e la commedia slapstick.
Il film fu un veicolo per la star Mieko Takamine, radiosa e bellissima nel suo tailleur all’occidentale, fotografata da Atsuta in modo da esaltarne la presenza luminosa. Inquadrata in primo piano, sorridente e incantevole nella sua giovinezza, Takamine incarna una spontaneità nuova che scuote il rigido istituto urbano. Shimizu spesso la incornicia con mascherini profilmici – creati dalle porte e dagli arredi – sullo sfondo di inquadrature particolarmente elaborate e profonde. Quella di Takamine è la posizione dell’outsider, gerarchicamente all’ultimo posto di una struttura austera e paralizzata. Inizialmente “corpo estraneo” osservato con diffidenza, Nobuko si infiltra come una corrente calda diffondendo il suo affetto tra le studentesse, unito a una nobile integrità d’animo. La giovane è un’utopista e una visionaria, e Shimizu le concede il lieto fine in una parabola progressista dall’attitudine sbrigliata e anti-ideologica, simile alla sua protagonista.
Da sottolineare come nelle riprese in interni il regista ricorra a una coerenza stilistica di qualità ipnotica – come se il racconto fosse disposto in stanze poetiche dalla metrica precisa – in cui i contrasti tra i vari personaggi emergono in modo cristallino. Tale controllo viene contraddetto nelle sequenze all’aperto, dove la mobilissima macchina da presa di Shimizu attraversa strade e paesaggi naturali, corre lungo i cortili della scuola, esplora gli spazi e si avvicina ai corpi delle studentesse, colti nella libertà di una partita di pallavolo o disposte ordinatamente in fila. La bellezza libera e selvatica di queste ragazze viene filmata con una passione – forse anche feticista – che potrebbe aver influenzato Sion Sono.
Memorabile, infine, la splendida performance di Mitsuko Miura (The 47 Ronin, Morning for the Osone Family, Untamed) nei panni della studentessa ribelle Eiko. Con il suo carattere complesso, incline alla crudeltà ma segretamente sofferente, Eiko resta un archetipo di inquietudine e fragilità giovanile, una scheggia di modernità perfettamente attuale, anticipatrice dei personaggi interpretati da Sakura Andō (Love Exposure, 2009).






























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