Accanto al Naruse dei grandi melodrammi, dei tragici ritratti femminili e delle sottili analisi del tessuto sociale giapponese, esiste anche un Naruse inaspettatamente propenso all’umorismo e alla comica slapstick. La sua filmografia offre numerosi esempi di questa vis comica: Naruse amava la gag inaspettata, la sequenza fulminante stilizzata in un montaggio ellittico, una sorta di “epifania comica” valorizzata da figure retoriche (allusioni, iperboli). Ricordiamo, tra gli altri, gli scherzi metacinematografici di Madre (Okaasan, 1952), e Untamed (Arakure, 1957), in cui il regista ridicolizza l’enfasi melodrammatica del vecchio cinema giapponese – e forse anche del suo stesso cinema; le risse a colpi di scopa (ancora in Untamed) o le gag “corporali” di Older brother, younger sister (Ani imōto, 1953) tra cazzotti e ceffoni.
Anche Conduct Report on Professor Ishinaka (Ishinaka sensei gyōjōki, 1950) contiene scherzi e clownerie, in particolare nell’episodio del burlesque, strutturato come una commedia degli equivoci.
Travelling Actors è forse il film in cui questa vena trova la sua espressione più libera. In un periodo (il 1940) che vede l’industria cinematografica sotto il diretto controllo del governo, Naruse (così come altri registi dell’epoca) cerca di mantenere una relativa indipendenza ripiegando su soggetti classici, come il teatro kabuki. Sotto le spoglie del racconto tradizionale il regista allestisce, con gusto ludico e palpabile spensieratezza, una commedia che ha per protagonisti scalcagnati teatranti girovaghi, pomposi affaristi di paese e ingenue geishe, sullo sfondo del Giappone rurale. Mostrando profondo affetto per i suoi personaggi balordi, millantatori e tragicomici, Naruse ci consegna in particolar modo il ritratto di due attori specializzati nella “pantomima del cavallo”: due fratelli che, sulla scena, interpretano le zampe anteriori e posteriori di un equino, in scenette che costituiscono il “pezzo forte” dello spettacolo.
Il fratello maggiore Hyoroku, in particolare, nutre un profondo orgoglio per la propria “arte” coltivata attraverso anni di studio e osservazione dei cavalli. Naruse, con montaggi rapidissimi, alterna immagini delle sue gambe alle zampe della bestia; confonde umano e animale, stilizza movimenti all’unisono, lasciandoci immaginare come per Hyoroku l’identificazione con il proprio ruolo lo abbia portato quasi a uno stato di teriantropia (depersonalizzazione e convinzione di potersi trasformare in animale). Hyoroku, re della pantomima, è il cavallo.
Il costume da cavallo, realizzato dallo stesso Hyoroku con attenzione maniacale, è un prolungamento del suo stesso corpo. Immaginiamo, quindi, il suo stato di shock quando uno degli sponsor dello spettacolo, un ottuso barbiere, ne schiaccia la testa di cartapesta mentre vaga in stato di ubriachezza, fino a crollarvi sopra addormentato. La scena è girata da Naruse con una leggerezza disinvolta che la rende ancor più divertente.
L’incidente manda su tutte le furie Hyoroku, sdegnoso nell’accettare un’improbabile e frettolosa riparazione che dà al muso una forma appuntita (“non posso lavorare così! Questo non è più un cavallo, è un cavallo-volpe!”) ma i produttori dello spettacolo risolvono rapidamente il suo capriccio optando per un vero cavallo.
Da questo momento inizia un’odissea per i due fratelli, espulsi dallo show e costretti a vivere come stallieri del loro “sostituto”. Naruse gira con gran ritmo e spirito divertito, giocando sulla sottile linea che separa l’essere umano e la bestia, in un continuo rimando di corpi interscambiabili e sostituibili. Hyoroku e il cavallo condividono mimica e gestualità, persino gli istinti; contemporaneamente, il Giappone rurale mostra il suo volto vivace, ma anche pulsionale e “selvatico”. Vediamo corpi umani ammassati (come nella sequenza del teatro), sudati, assediati da pulci e zanzare; assistiamo ad assembramenti di comari, a litigi, alla manifestazione nuda di vizi e sentimenti. Il film descrive inoltre con delicatezza il modo in cui l’ombra della guerra si insinua gradualmente nelle città rurali.
Naruse trae evidente ispirazione da Ozu, in particolare dalla figura di Kihachi (l’antieroe degli anni ’30) per dar vita ai suoi personaggi poveri, balordi e velleitari; tra l’altro, Storia di Erbe Fluttuanti (Ukikusa monogatari, 1934) contiene una “pantomima del cavallo” di pura ascendenza slapstick. Alcune particolari scelte compositive fanno inoltre pensare a Figlio unico (Hitori musuko, 1936), con i personaggi collocati prospetticamente “sotto la pancia del cavallo”, una soluzione adottata anche in Travelling Actors per accentuare il senso di degradazione gerarchica dei due fratelli.
Nonostante queste suggestioni, il film è un’opera originale e vivissima, dall’anima anarchica e surreale, che lavora sulla smitizzazione delle tradizioni con un’operazione simile a quella effettuata da Sadao Yamanaka nei confronti della figura del ronin. In entrambi i casi, seppur con procedimenti stilistici e toni differenti, i due autori si focalizzano sull’umanità dei personaggi e su una rappresentazione tanto “bassa” quanto psicologicamente ricca e sfumata. Per questo motivo Travelling Actors suscitò le ire delle autorità, che lo tagliarono senza però riuscire a smorzarne l’ironia e la comicità dissacrante ed eversiva. Un film molto amato dal regista, che spesso lo citerà come uno dei suoi lavori preferiti.



























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