Una ragazza, Aruno, viene bullizzata e rinchiusa in una stanza della scuola da una sua compagna, che confessa tutto a una terza studentessa, Asuko, solamente il giorno successivo. Preoccupata, Asuko decide di andare a liberare Aruno, che scopriamo essere la lead singer del gruppo Nogizaka46.
Kiyoshi Kurosawa non è il primo regista a legare il pop e l’universo delle idols a un sentimento di terrore e spaesamento percettivo (si pensi a Perfect Blue, 1997, di Satoshi Kon, che mette in scena la discesa in una realtà alienata e dominata da figure del doppio). Del resto vi è qualcosa di perturbante nel mondo delle Idols: un’idea astratta di purezza intangibile, di bellezza e dinamismo disciplinati in coreografie di perfezione pulita, dai tratti adolescenziali ma fortemente sessualizzati. Nelle esibizioni delle Idols, nei loro sguardi e movimenti, si condensano i paradossi di una dimensione alternativa costruita per accendere il desiderio dello spettatore e contemporaneamente negarlo/frustrarlo. Allo stesso tempo, gli innocenti sorrisi delle performer celano rapporti di brutale competizione e le pressioni di una società dello spettacolo spietatamente ossessionata dalla giovinezza.
Una realtà così sfumata e duale non poteva non affascinare Kurosawa, che in questo video per il brano Actually delle Nogizaka46 fa confluire gli elementi tipici del suo cinema: la geometrica composizione dell’inquadratura, l’angoscia estenuante e i vuoti che la contengono; le linee pulite, i pochi oggetti. Gli specchi riflettenti sono figure del doppio e l’altro è un “corpo estraneo” che nemmeno il linguaggio verbale ci aiuta a decifrare. Come in Séance, un essere umano giace abbandonato/dimenticato mentre gli altri personaggi perdono tempo, inteso come entità legata alla sfera morale. Aruno, stranamente tranquilla dopo la notte in isolamento, pronuncia parole inquietanti con voce inespressiva: “qualcosa di vecchio e invisibile si è accumulato qui, e ha lentamente avvolto tutto il mio corpo…” I codici del thriller, in cui il regista sembrava muoversi, sfumano in un territorio cangiante, di confine tra il visibile e l’invisibile: percepiamo il peso di una cupa predestinazione, l’incombere di presenze fantasmatiche.
Preceduta da un prologo tanto teso ed enigmatico, la sequenza musicale giunge con tutta la sua portata destabilizzante: Aruno si dirige tra le macerie di un vecchio edificio (uno di quei luoghi “di margine” e rovina prediletti dal regista) e ritrova le altre componenti del gruppo, con le quali si esibisce nel brano Actually. I movimenti di macchina rendono ancora più arcana la coreografia, che ha la suggestione di un sabba esoterico.
Una complessa architettura compositiva e coloristica si svolge davanti ai nostri occhi e si chiude sul volto di Aruno che scruta la città dall’alto, lasciandoci mille interrogativi sul mistero a cui abbiamo appena assistito. O forse era soltanto una canzone?


























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