Ambientato nel Giappone del sedicesimo secolo, il film è ispirato ai due racconti La casa fra gli sterpi e La lubricità del serpente di Ueda Akinari (facenti parte della raccolta Racconti di pioggia e di luna). I contadini Genjuro e Tobei vendono i loro vasi di terracotta a un gruppo di soldati di un villaggio vicino, cercando di ricavare profitto dallo stato di guerra. L’ambizione di Genjuro e l’attrazione nei confronti della misteriosa dama Wakasa, così come il desiderio di Tobei di diventare un samurai, rischiano di distruggere sia loro stessi che le loro mogli, Miyagi e Ohama.
Con le sue brume, le visioni oniriche in giardini trascendentali, le apparizioni nitide di figure e icone senza tempo, fino al martirio dei semplici tra le spighe (così bene ripresi da Scorsese in Silence, ), il film ci porta a domandarci come mai non venga più praticato il cinema di fantasmi. Si è perso il colloquio tra i vivi e i morti, la fede in una presenza, quasi un amore dei fantasmi per i vivi.
Ugetsu crea turbamento in virtù sua spiritualità e allo stesso tempo dei suoi elementi più vividi e realistici: l’impressione è quella di assistere a qualcosa di magico, inafferrabile.
Al realismo della dura vita contadina si sovrappone un velo fantasmatico di nebbie, spiriti che non trovano pace, esseri umani vili e pulsionali, desideri che scarnificano, sogni, malinconia. Si prova molta pena per questi fantasmi assetati d’amore e di emozioni, per la loro giovinezza perduta; e altrettanta compassione nasce dalla visione del destino umano, fatto di lacrime e brutalità, infanzia violata e grazia calpestata. Kinuyo Tanaka è, ancora una volta, una figura che si libra leggera sulle violenze di questa terra. Il suo perdono avvolge tutte le cose, è denso e spirituale come le nebbie che inghiottono le sciagure umane. La macchina da presa di Mizoguchi si muove senza peso, in continuità con lo scorrere delle acque e il soffiare del vento. Le statue osservano, le tombe mormorano.



























Lascia un commento