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Hirokazu Koreeda sta lavorando a Look Back, versione live-action dell’anime del 2024 che ha riscosso un enorme successo di pubblico e critica. La notizia ha sorpreso molti, ma in realtà si tratta dell’ennesima dimostrazione di quanto il cinema – e la televisione – giapponesi si stiano allineando alla sensibilità degli anime. Un pioniere di questo spostamento dell’asse è stato sicuramente Shunji Iwai, attento narratore di racconti di formazione dalla vocazione poetica, fatta di ellissi, di tempo interiore e non-lineare, espressione di una soggettività pensosa che si misura con il mistero del vivere. Si pensi al bellissimo Love Letter (1995) in cui Iwai mandava in frantumi il confine tra due dimensioni separate creando un canale, uno squarcio tra due mondi.
Sulla scia di questo autore sensibile, la cui opera fa da ponte con l’immaginario degli anime, negli ultimi anni il cinema ha guardato sempre più alle produzioni animate come sistema di riferimento tematico, filosofico e visivo. L’anime, dunque, come antropologia del presente e dei sentimenti del tempo. I segni di questo percorso sono evidenti anche nella serialità televisiva (si vedano i debiti di Ai no Gakkou, 2025, Hiroshi Nishitani, a Si alza il vento, 2013, Hayao Miyazaki).


Gli artisti dell’animazione del XXI secolo – da Hosoda a Shinkai, da Masaaki Yuasa a Naoko Yamada sino a Kiyotaka Yoshiyama, e anche in parte il “fuoriclasse” Satoshi Kon – hanno trasfigurato in immagine il sentire giovanile e la sua alienazione nei confronti di una società distante e ossessionata dalla produttività. Brulicanti scorci metropolitani, panoramiche su strade e grattacieli, inquadrature dall’interno di treni gremiti contrastano con le fragili identità di una giovinezza “fuori fuoco” (Perfect Blue, Satoshi Kon, 1997, Your name, Makoto Shinkai, 2016); un passaggio a livello attraversa i quartieri ma è anche segno di una divisione profonda (La ragazza che saltava nel tempo, Mamoru Hosoda, 2006): tra l’io e il mondo, tra una sensibilità unica e una comunità arida o repressiva.



Tokyo, distante e inospitale, cela figure irrisolte e in conflitto con se stesse: giovani bloccati nell’inazione, delusi, asociali, contraddistinti da uno scarto; una diversità che può essere di natura realistica (timidezze, traumi, disforie di genere) o metaforizzata in trame fantastiche (i bambini-lupo di Hosoda; la weathering girl di Shinkai). Una profonda malinconia colora i tableaux urbani in cui i protagonisti cercano il senso delle cose, persi nell’osservazione di struggenti tramonti o chiusi in interni dove gli oggetti, i riflessi solari che penetrano dalle finestre e i vestiti sparpagliati per la stanza mormorano di solitudini incolmabili.
L’amore appare come un miraggio, di solito di breve durata, illuminato dall’intensità di colori che spezzano il grigiore quotidiano. Il sentimento, negli anime, è ricambiato ma spesso impossibile, segnato da una separazione – morte, distanza, viaggi nel tempo o dimensionali – che si ripercuote nel futuro dei protagonisti e lascia il ricordo struggente di una luce.


Lo scorso anno Sho Miyake, con All the long nights, ha realizzato un esplicito corrispettivo live action del mondo esplorato dall’animazione, abitato da ventenni dalle percezioni non conformi alla società adulta. Nelle immagini di Miyake troviamo ritratti malinconici tra stasi e desiderio, dove gli esseri umani appassiscono silenziosamente (come Takaki di 5 cm al secondo, 2007, Shinkai) o vivono un profondo dissidio con la propria alterità (come Belle, 2021, Mamoru Hosoda). La protagonista Mone Kamishiraishi, interprete di ben due film di Shinkai (Your Name e Weathering with you), così come di Wolf Children di Hosoda, 2012, è il corpo di una continuità dell’immaginario che dagli anime giunge al cinema di Miyake.


Ma anche Koji Fukada in Love Life (2021) riproduce i nitidi quadri diurni e sospesi di tanti anime, mostrandoci figure sole e sfiorite dietro le finestre dei condomini. Nel cinema di Fukada, come nell’animazione, viene dato particolare rilievo alla separazione tra dentro/fuori, tra un’interiorità data dall’isolamento in piccoli appartamenti e dalla presenza di un io turbato e sensibile, incapace di relazionarsi normalmente con l’esterno. Si tratta di personaggi che rinunciano alla vita, finché una presenza estranea non offre loro una via d’uscita, la possibilità di una luce.
La natura porge il suo controcanto gentile e salvifico nei tremuli raggi di sole, nelle trasparenze di riflessi che tingono la realtà di onirismo e spiritualità; mentre i fenomeni naturali sono il correlativo oggettivo delle scoperte e delle trasformazioni interiori (si pensi alla pioggia improvvisa che bagna Taeko in Love Life, o alla neve di 5 cm al secondo). Alla notte invece, viene affidato un percorso orfico, un viaggio d’amore verso la persona amata.
Koreeda, che in Last Scene ha velatamente omaggiato l’eredità degli anime sull’immaginario – fatta di sentimenti delicati e impacciati, cieli infiniti e tersi, condizioni liminali tra realtà e sogno – sembra l’artista ideale per un remake che traduca il disegno in materia e l’amore in “corpo” vivo e tangibile. In un mondo in cui sembra sempre più difficile pronunciare parole d’amore, Look back di Kiyotaka Yoshiyama individuava nelle giovani Fujino e Kyōmoto le protagoniste d’un fuggevole quanto intenso riscatto, dove il sentimento è tanto prezioso da mutare in bagliori d’oro (la scelta cromatica d’elezione del film). Le immagini promozionali dell’imminente versione live action di Koreeda, che attendiamo con entusiasmo, sembrano conservarne il luccichìo salvifico che avvolge l’esperienza umana.

English Version
Hirokazu Koreeda is currently working on Look Back, a live-action version of the 2024 anime that achieved remarkable popular and critical success. The news surprised many, but it is in fact yet another sign of how Japanese cinema—and television—have increasingly aligned themselves with the sensibility of anime. A pioneer of this shift was certainly Shunji Iwai, a sensitive chronicler of coming-of-age tales with a poetic vocation, made of ellipses, inner and non-linear time, the expression of a contemplative subjectivity grappling with the mystery of life. Consider the beautiful Love Letter (1995), in which Iwai shatters the boundary between two separate dimensions, creating a channel—an opening—between worlds.
In the wake of this perceptive filmmaker, whose work forms a bridge with the imagery of anime, cinema in recent years has increasingly looked to animated productions as a thematic, philosophical, and visual point of reference. Anime, therefore, becomes an anthropology of the present and of the sentiments of our time. The signs of this trajectory are evident even in television series (one need only look at the debts owed by Ai no Gakkou (2025, Hiroshi Nishitani) to The Wind Rises (2013, Hayao Miyazaki)).
The animation artists of the twenty-first century—from Hosoda to Shinkai, from Masaaki Yuasa to Naoko Yamada, to Kiyotaka Yoshiyama, and in part even the “virtuoso” Satoshi Kon—have transfigured into images the emotional landscape of youth and its alienation from a distant, productivity-obsessed society. Teeming metropolitan vistas, wide shots of streets and skyscrapers, and frames from inside packed trains stand in contrast to the fragile identities of a youth “out of focus” (Perfect Blue, Satoshi Kon, 1997; Your Name, Makoto Shinkai, 2016). A railway crossing cuts through neighborhoods but also symbolizes a deeper division (The Girl Who Leapt Through Time, Mamoru Hosoda, 2006): between self and world, between a unique sensibility and a community that is arid or repressive.
Tokyo, distant and inhospitable, hides unresolved figures in conflict with themselves: young people trapped in inaction, disappointed, withdrawn, marked by a sense of dissonance—a difference that can be realistic (shyness, trauma, gender dysphoria) or metaphorized in fantastic narratives (Hosoda’s wolf children; Shinkai’s “weathering girl”). A profound melancholy colors the urban tableaux in which the protagonists search for meaning, lost in the contemplation of heartbreaking sunsets or enclosed in interiors where objects, sunlight filtering through windows, and clothes scattered around the room murmur of insurmountable solitude.
Love appears like a mirage—usually brief—illuminated by bursts of color that break through the grayness of everyday life. In anime, love is reciprocated yet often impossible, marked by separations—death, distance, journeys through time or dimensions—that shape the protagonists’ futures and leave behind the aching memory of a light.
Last year, Sho Miyake’s All the Long Nights offered a direct live-action counterpart to the world explored by animation, inhabited by twenty-somethings with perceptions at odds with adult society. In Miyake’s images we find melancholic portraits suspended between stasis and longing, where human beings silently wither (like Takaki in 5 Centimeters per Second, 2007, Shinkai) or experience a deep conflict with their own otherness (as in Belle, 2021, Mamoru Hosoda). The protagonist Mone Kamishiraishi—who starred in two of Shinkai’s films (Your Name and Weathering with You) as well as in Hosoda’s Wolf Children (2012)—embodies the continuity of an imagery flowing from anime into Miyake’s cinema.
Koji Fukada as well, in Love Life (2021), recreates the clear, suspended daytime compositions of many anime, showing us solitary, faded figures behind the windows of apartment blocks. In Fukada’s cinema, as in animation, special emphasis is placed on the separation between inside and outside—between an interiority shaped by isolation in small apartments and the presence of a troubled, sensitive self unable to relate normally to the world beyond. These are characters who renounce life until an external presence offers them a way out—the possibility of light.
Nature provides its gentle, salvific counterpoint in trembling rays of sunlight and in shimmering reflections that tint reality with dreaminess and spirituality; while natural phenomena become the objective correlative of inner discoveries and transformations (such as the sudden rain that drenches Taeko in Love Life, or the snow in 5 Centimeters per Second). The night, meanwhile, is entrusted with an Orphic path—a journey of love toward the beloved.
Koreeda—who subtly paid homage to the legacy of anime in the collective imagination with Last Scene, shaped by delicate and awkward emotions, infinite clear skies, and liminal states between reality and dream—seems the ideal artist for a remake that turns drawing into matter and love into a living, tangible “body.” In a world where speaking words of love seems increasingly difficult, Kiyotaka Yoshiyama’s Look Back centered on the young Fujino and Kyōmoto as the protagonists of a fleeting yet intense redemption, where emotion becomes so precious that it transforms into golden gleams (the film’s signature chromatic choice). The promotional images of Koreeda’s forthcoming live-action adaptation—which we await with great excitement—seem to preserve that salvific shimmer embracing the human experience.





















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