Non sono pochi i film in cui Naruse ci offre una dimostrazione del suo inequivocabile, quanto spesso frainteso, senso dell’umorismo. Troppo spesso il regista viene schematizzato come metteur en scène di tristi melodrammi, mentre in realtà il suo tocco leggero vive di sfumature anche nei toni, che non di rado celano sottigliezze ironiche, scherzi o clownerie. In Untamed, anomalo e straordinario nella sua costruzione di un personaggio femminile “non soccombente”, l’umiliata e offesa Shima (Hideko Takamine) si rialza cento volte, impara a tener testa a uomini deboli e indegni dando vita a impagabili scene comiche: 1) Il litigio con il primo marito, un fedifrago Ken Uehara; 2) La rissa a colpi di scopa ingaggiata con la rivale Oyuri; 3) La famosa scena dell’idrante con cui innaffia il secondo marito traditore, Daisuke Katō .



In una sequenza molto bella, tutta incentrata sulla disillusione, Shima viene baciata dal fascinoso proprietario dell’albergo dove lavora (Mori Masayuki, sempre perfetto nel ruolo di vigliacco), e un grosso mucchio di neve cade dal tetto con un tonfo sordo. Naruse sta dicendo agli spettatori – e alla protagonista – che non si tratta di un bacio romantico, e che quel mucchio di neve caduto a peso morto è il preludio ad una serie di viltà inflitte dall’uomo alla ragazza (4 e 5).


Naruse fu un uomo-cinema, totalmente devoto alla sua arte e in movimento assieme ad essa. Come ben nota Ryūsuke Hamaguchi compilando la sua Top Ten per la Criterion: “Il suo stile, vibrante e dinamico negli anni ’30 (…) si fa più intenso e sottile nei capolavori dei ’50 e ’60”. Insieme a Koji Fukada e Hirokazu Kore-eda, Hamaguchi è tra i registi che si collocano sul suo tracciato stilistico e tematico, perseguendo un cinema di sentimenti che si rivelano inaspettatamente “estremi”. I personaggi di Naruse sono “pazzi” – si pensi a tutti i personaggi che si cercano, si spiano, desiderano la presenza dell’altro a tal punto da rischiare la vita. Naruse cercò sempre la forma migliore per rappresentare tutto questo, limando il suo stile e sfruttando le possibilità offerte dal colore e dal formato. Il cinema stesso era il soggetto implicito di ogni suo film: a ricordarcelo troviamo anche elementi del racconto e linee di dialogo (“Ci vediamo al cinema?” “Non andrai mica di nuovo al cinema?”).
Naruse non di rado “scherza” con lo spettatore, lo coinvolge nell’ossessione della rappresentazione, lo confonde e lo incanta, abbattendo le distanze.
In Untamed il regista gioca con la proiezione cinematografica: in una sala scorre un film (7) raccontato da un benshi (narratore) e attraverso una soggettiva dei protagonisti (8) vediamo la scena sullo schermo (in cui Naruse non perde occasione per ridicolizzare l’enfasi melodrammatica del vecchio cinema giapponese). Improvvisamente, l’immagine si accartoccia a causa dell’inceppamento della pellicola, lasciando il nulla (9). E in questa “pagina bianca” che è la vertigine del cinema, Naruse trascina i suoi spettatori, confonde il piano del reale e quello della finzione, ci fa sedere in sala assieme ai suoi personaggi, non smentendo la sua natura di autore strettamente connesso alle emozioni umane e al miracolo della percezione.


























Scrivi una risposta a TRAVELLING ACTORS (Tabi yakusha, 1940) – Nubi Fluttuanti Cancella risposta