FIORI D’EQUINOZIO (Higanbana, 1958), Yasujirō Ozu

A parole il severo signor Hirayama è d’accordo con i giovani del dopoguerra, che non accettano più i matrimoni combinati. Quando però sua figlia sceglie da sola con chi sposarsi, Hirayama, offeso, pone il veto. Si crea allora un’alleanza femminile – fra la figlia, la sua amica Yukiko e la moglie apparentemente sottomessa di Hirayama – per favorire il fidanzamento…

Dopo l’insuccesso di Crepuscolo di Tokyo, troppo cupo per il pubblico, Ozu torna ai temi classici familiari con una sensibilità dolceamara e una levità arricchite dall’uso del colore, che diventa uno strumento narrativo di abbagliante bellezza. Per Fiori d’equinozio, la sua prima opera a colori, il regista preferisce l’Agfacolor al più celebre Eastman color, per la resa del rosso. Noto per la cura maniacale della composizione dell’immagine, adoperò la stessa meticolosità nell’uso del colore; ogni gradazione e ogni accostamento venivano studiati con precisione e disciplina, affinché la palette di ciascuna inquadratura risultasse incredibilmente ricca, varia e artisticamente vibrante. Una tale fioritura coloristica era perfetta per raccontare, in toni leggeri e con grande apertura di pensiero, questa storia di contrasti generazionali e ribellione all’autorità paterna. Ozu ha comprensione e affetto per tutti, padre e figlia, e mai ci offre un ritratto umano che non sia delicato, sfumato e colmo di chiaroscuri. Il rigore dell’inquadratura non fa che mettere in evidenza la turbolenza umana che la abita.

Fiori d’equinozio è tra i lavori più squisitamente stilizzati di Ozu. Le inquadrature sfiorano la pura astrazione: nel dopoguerra è fortissima la volontà del regista di “ricostruire il Giappone” proprio a partire dalle immagini, da un’architettura stilistica che esprima serenità, ordine, bellezza e intensità emotiva, attraverso linee, colori e quadri di vita agiata. E’ all’interno di questo microcosmo armonico che il regista può dar risalto all’oggetto primario del suo cinema, ovvero i sentimenti umani. Non si tratta di escapismo in un’arcadia lontana dalla crisi economica che attanaglia il paese: l’idea di Ozu è quella di “mostrare il fiore di loto nel fango”. Per Ozu la realtà è stratificata e l’intenzione del suo cinema è di mostrarne gli aspetti positivi: anche nel fango può crescere un bellissimo fiore di loto, con il suo trionfo di colori, il suo splendore delicato e la gioia che irradia da tanta bellezza. Ma Fiori d’equinozio è anche un manifesto teorico della sua irriducibile visione: in un decennio in cui il cinema internazionale e anche tanto cinema giapponese cercano il rinnovamento nella novità del Cinemascope, Ozu non si piega al nuovo standard. Rifiutando il formato panoramico (“è come guardare attraverso la buca delle lettere”, afferma), il regista persegue la sua ricerca nel formato 4:3.

Fiori d’equinozio sfrutta la profondità con un senso prospettico di assoluta perfezione classica. Le inquadrature iniziali del matrimonio, o all’interno del vagone del treno, così quelle come di corridoi ed interni sono frutto di uno studio radicale dello spazio, delle linee prospettive e della composizione degli elementi all’interno dell’inquadratura. La bellezza del disegno in profondità e del colore è tale da creare quasi uno stordimento nello spettatore, una sindrome di Stendhal procurata da visioni incantatorie, iniziatiche nella loro matematica regolarità. Tanta stilizzazione non sottrae umanità ai protagonisti, anzi tende a metterla in risalto: è il palcoscenico di un “disordine” di emozioni e sentimenti.
Pur guardando con nostalgia alle tradizioni (si veda il canto di Ryū Chishū ), il regista riserva una profonda simpatia ai personaggi più giovani e ci mostra coppie volitive quanto responsabili, decise a coronare i propri sogni amorosi lavorando duramente senza ingerenze familiari. Una visione rappresentata dalla frase “trasformare l’acciaio in oro”: la felicità, come in Tarda Primavera, è una conquista e un lavoro quotidiano.

Gli aspetti deteriori della tradizione emergono nel destino del personaggio di Kinuyo Tanaka, madre sottomessa agli umori di un marito non passionale e testardo, in un matrimonio combinato e trascorso tra abitudini e solitudine; una donna obbediente, spesso costretta a reprimere il proprio pensiero e la propria volontà, o a mascherarli in un sorriso educato. Ozu ci mostra la forza paziente e addolorata di un personaggio apparentemente tanto passivo: in realtà, lei è la chiave dell’armonia familiare. Nelle bellissime inquadrature di Tanaka si racchiude un’immagine di straordinaria forza commovente e sentimentale.

4 risposte a “FIORI D’EQUINOZIO (Higanbana, 1958), Yasujirō Ozu”

  1. Avatar TARDO AUTUNNO (Akibiyori, 1960), Yasujirō Ozu – Nubi Fluttuanti

    […] coloristica. Lo studio della profondità è presente, (anche se meno radicale rispetto a Fiori d’equinozio): Ozu continua a esplorare lo spazio e a stratificare l’immagine attraverso la profondità di […]

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  2. Avatar CREPUSCOLO DI TOKYO (Tōkyō boshoku, 1957), Yasujirō Ozu – Nubi Fluttuanti

    […] il film non riscuote successo. L’anno successivo Ozu tornerà ai temi classici familiari (Fiori d’equinozio) con una sensibilità dolceamara e una levità arricchita dall’uso del colore: per Ozu, sarà […]

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  3. Avatar Speciale Yasujirō Ozu: il maestro del cinema giapponese – Nubi Fluttuanti

    […] FIORI D’EQUINOZIO (Higanbana, 1958), Yasujirō Ozu […]

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  4. Avatar WHAT DID THE LADY FORGET? (Shukujo wa nani wo wasureta ka, 1937), Yasujirō Ozu – Nubi Fluttuanti

    […] due con Ozu, mentre sua figlia Miyuki Kuwano diventerà a sua volta attrice (bravissima) per Ozu in Fiori d’Equinozio (1958) e Tardo Autunno […]

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