52-Hertz Whales (52 Hertz no Kujiratachi, 2024), di Izuru Narushima

Dopo essersi trasferita in una piccola città di mare, Kiko incontra Mushi, un bambino maltrattato dalla madre. La ragazza decide di salvare il piccolo e ripercorre con la mente il proprio passato, quando anche lei, vittima di abusi, trovò la salvezza nell’intervento dell’amico Anko.

“Se mi sento sola, al punto di voler morire, ascolto questo. È il suono della Balena da 52 Hertz. Non importa quanto canti forte, non raggiunge le altre balene.”

52-Hertz Whales inizia come uno dei tanti film indipendenti intimisti e splendidamente fotografati di cui abbonda il cinema giapponese degli ultimi anni: opere dal tono medio, sincere e oneste, in cui i personaggi cercano di dare un senso alle proprie vite condotte ai margini, tra solitudine e senso di abbandono. Questa omogeneità contemporanea è sintomo di uno stato d’animo – ma anche di una mancanza d’ispirazione, o semplice conformismo a modi e stili diventati maniera riconoscibile e priva di rischi.
A questa statica uniformità si oppongono con forza numerose voci originali, autori più o meno giovani tra cui va certamente annoverato il regista Izuru Narushima, che con 52-Hertz Whales (in lizza come Best Film ai Blue Ribbon Awards 2025) sovverte molti canoni prestabiliti e rovescia un inaspettato, parossistico melò sulla piattezza educata di tanta cinematografia nipponica recente.

Dopo un incipit delicato e “già visto”, in cui conosciamo la giovane protagonista Kiko, segnata dal peso dell’assenza e di tristi ricordi, Narushima precipita la vicenda in un fantasmagorico tourbillon de la vie; e sembra davvero di ripercorrere le parole di Jeanne Moreau (On s’est connu/on s’est reconnu/On s’est perdu de vue/on s’est r’perdu d’vue) nell’accompagnare Kiko nella sua odissea, che Narushima ripercorre avanti e indietro, interrompendo il flusso del racconto con lunghi flashbacks, improvvise illuminazioni della memoria, intuizioni e ritorni al presente. Un tempo interiore, sobbalzante, violento, in cui il passato di abusi e tempeste sentimentali riemerge in tutta la sua evidenza, senza rassicuranti ellissi o pudiche velature.

Narushima abbandona bruscamente la “serenità” dei primi minuti per virare nel melodramma più acceso, intrecciando traumi infantili, interni squallidi in cui la violenza letteralmente “gocciola” tra le pareti (ne è un segno metaforico la pioggia che impregna gli abiti di Kiko e del piccolo Mushi), ma anche crisi d’identità, disforie di genere, gelosie folli che mandano in frantumi la possibilità di una normalità mai conquistata.
Non raggiunge, Narushima, la crudeltà nonsense dell’ero guro, ma certamente individua in un’anormalità macabra e perversa la cifra stilistica del contemporaneo.
Kiko, così come il giovane Anko, compagno dell’anima secondo l’accezione data da Emily Dickinson nei celebri versi “L’anima sceglie la sua compagnia/ poi richiude la porta”, sono le vittime innocenti di un destino che li tratta come foglie al vento.
Il dramma di Narushima, fiammeggiante, spurio, oscilla tra la squisita eleganza di un Sirk (c’è anche, in una scena, una Kiko bendata come Jane Wyman in Magnifica Ossessione, 1954) ed il kitsch di una telenovela strabordante di effetti drammatici, disgrazie e sopraffazioni.
Il regista non si fa scrupolo di mettere a nudo i protagonisti, mostrandoceli violati, turbati, immersi in un sangue così acceso da divenire artistico, vibrazione estetica; e allo stesso modo il sentimentalismo frana, si compiace del proprio deragliamento in scene notturne e oniriche, tra neon colorati e bar offuscati dal fumo, dove i volti si rigano di lacrime.

Eppure è in questa mancanza di equilibri, nei suoi eccessi melò e nei sentimenti urlati, nei corpi bruciati dal fuoco delle pulsioni che 52-Hertz Whales conquista e incanta. È un’opera costantemente sul punto di crollare, un film suicida ma così colmo di passione, incongruenze e cataclismi da inchiodare lo spettatore alla poltrona. Narushima, non diversamente dai suoi protagonisti, intraprende la via dell’eccesso e la percorre con audacia. La “balena a 52 hertz” del titolo, l’animale più solo al mondo, appare nel finale come visione di destino solitario e azzurro: immagine emblematica di un film a tratti sgraziato e pesante, ma anche sfrenato ed eroico nella sua tensione verso l’infinito.

Una replica a “52-Hertz Whales (52 Hertz no Kujiratachi, 2024), di Izuru Narushima”

  1. Avatar SMALL, SLOW BUT STEADY (Keiko, me wo sumasete, 2022), Shō Miyake – Nubi Fluttuanti

    […] in lotta col destino: da Ann dell’omonimo film di Yu Irie A girl named Ann (2024), a Kiko di 52 Hertz Whales (2024, Izuru Narushima) o Aoi di A far shore (2022, Masaaki Kudō). Protagoniste che affiorano da […]

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