ASAKO I & II (Netemo Sametemo, 2018), Ryūsuke Hamaguchi

Asako, timida studentessa di Osaka, incontra Baku di cui si innamora, ricambiata. Bello e imprevedibile, Baku le promette eterno amore ma poi un giorno sparisce senza spiegazione, lasciando Asako senza respiro. Due anni più tardi a Tokyo, Asako incontra per caso Ryohei, la cui somiglianza con Baku è impressionante. Ma il fantasma del passato bussa alla porta e mette Asako di fronte a una scelta.

È molto interessante constatare come l’opera di Hamaguchi si vada a inserire in un decennio in cui differenti registi si avvicinano all’amore per esaminarlo nel suo rapporto con l’identità: perdere se stessi, mandare in frantumi il proprio io abitudinario e logoro, ma anche scoprire un’identità nuova, confonderla, rubarla… Titoli come Your Name (2016, Makoto Shinkai), The real thing (2019, Kōji Fukada), ma anche Journey to the shore (2015, Kiyoshi Kurosawa) ci parlano di un amour fou in grado di restituirci un io più vivo e autentico, o di avviarci a un percorso – tanto sofferto quanto abbagliante – di scoperta del sé.
Hamaguchi trattiene il suo impeto passionale e intellettuale nei confronti della parola e si concentra sul linguaggio visivo, ricorrendo a uno stile classico che fa capo al nitore di Naruse: immagini di grande pulizia e concentrazione, colme di sottili sfumature, inserite in un discorso che fluisce con straordinaria naturalezza. Scorrono anni di vita che il regista unisce mediante “cuciture” invisibili, trascinandoci però all’interno di correnti emotive dense e intatte. Il tempo, secondo Hamaguchi, è una coordinata interiore e soggettiva; viviamo il tempo sentimentale di Asako, che cova dentro di sé un amore irrazionale e adolescenziale, distruttivo come un fenomeno naturale (le “piogge improvvise” di Naruse).

Il film gioca sul tema del doppio in modo inusuale: Baku è l’amore devastante e sensuale – si pensi all’incidente in motocicletta – mentre Ryohei è la quotidianità serena e casalinga, espressione di un romanticismo monotono e controllato (esemplare la scena che vede il ragazzo proporre il matrimonio mentre lava i piatti). Ma anche Asako si sdoppia in un altro da sé inconoscibile e imprevedibile, dominato dall’istinto.
Ed è proprio questo mistero femminile, che Ryohei contempla da ogni prospettiva – dall’alto del suo ufficio; frontalmente, nell’illusione di una evidenza che gli sfugge; o di nascosto, mentre la ragazza dorme, offrendo la parte più vulnerabile di sé – a imprimere un movimento alle cose. I sentimenti violenti, indomiti, ingiusti di Asako ridefiniscono non solo l’identità frantumata della ragazza ma sollevano il caos nell’animo di Ryohei, collocando il rapporto della coppia in una casa differente: un trasloco non solo letterale, quello della coppia a Osaka, ma anche simbolico, di sensazioni, affetti e paure.

Asako e Ryohei diventano due erranti, come tanti protagonisti di Naruse, pronti a inseguirsi in capo al mondo senza mai comprendersi pienamente, senza più fidarsi l’uno dell’altra, ma legati vicendevolmente ai propri reciproci abissi. Hamaguchi tratta la materia amorosa con concentrazione, servendosi di alcuni dei suoi tipici procedimenti stilistici come l’uso del camera car all’indietro a significare un “allontanamento” fisico ed emotivo, o lo sguardo in macchina (camera-look) per parlarci in modo diretto, sollecitare un’emozione forte e una familiarità con i personaggi.

Il cinema di Hamaguchi, formalmente controllatissimo e profondamente umanista, correlativo oggettivo di emozioni e sentimenti, compone un’armonia narrativa in cui ogni eccesso sentimentale, ogni perdita del sé trova il proprio posto: una “stanza” poetica e figurativa – lo spazio dell’immagine – in cui mediare l’incandescenza del vivere attraverso la rappresentazione. Come l’amato Cechov (suo autore di riferimento), il regista ci offre la possibilità di osservarci dentro i confini della messa in scena, ma lascia intuire i margini bui, l’incertezza di un oltre.

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